Non si arrestano le polemiche per le campagne pubblicitarie finite su Youtube in prossimità di video a contenuto violento, razzista o pornografico. Parlando alla Asia Society di Hong Kong Robert Thomson, amministratore delegato di News Corp, il gruppo che pubblica tra l’altro The Times, ha detto: “L’imbarazzo degli inserzionisti è comprensibile, ma la situazione è molto più grave di una semplice perdita di faccia. A causa di YouTube, ovvero di Google, v’è una reale possibilità che alcuni di questi inserzionisti abbiano finanziato organizzazioni estremiste, che si tratti di islamisti o neo-fascisti”.
Thomson ha aggiunto: “La parola orwelliano è palesemente abusata. Ma quando si parla degli algoritmi di Google, Amazon e Facebook, la parola orwelliano è inevitabile e ci troviamo sul bordo del pendio scivoloso della censura. Indipendentemente dalle opinioni politiche di ciascuno, si dovrebbe essere preoccupati del fatto che stiamo entrando in un’era in cui i due più potenti editori di notizie che la storia umana ricordi, possano abitualmente e selettivamente bloccare notizie e opinioni”.
“Il duopolio digitale [di Google e Facebook] ha riscritto le regole in un modo da tagliare fuori gran parte del giornalismo e della verifica dell’accuratezza delle notizie. La mercificazione dei contenuti operata da Google, dove la autorevolezza è secondaria rispetto al profitto, e i flussi di Facebook dove è difficile distinguere contenuti giornalistici e fake news, hanno creato un ecosistema disfunzionale e socialmente distruttivo. Entrambe le aziende avrebbero potuto fare molto di più per sottolineare che esiste una gerarchia di contenuti, ma, invece, hanno prosperato spacciando una filosofia che non vuole distinguere tra il falso e il vero perché entrambi portano denaro”.